Recentemente ho riflettuto sul tema della discriminazione, che quest’anno, a seguito della pandemia, forse merita di essere indagato e trattato di più.
Questo periodo di chiusura e di crisi rende tutti più vulnerabili e la paura, a volte, non aiuta e rischia di farci cadere nell’intolleranza e persino nella discriminazione di colui che, in quanto malato, viene percepito come un pericolo.
Come non ricordare, poi, quanto è accaduto negli Stati Uniti, attraversati, dopo la morte dell'afroamericano George Floyd, da fiamme, proteste, sino all’assalto ingiustificato di simboli e di statue.
Il fenomeno della discriminazione si sta, infatti, diffondendo sempre più velocemente con l’utilizzo della rete come veicolo rapido e pervasivo di messaggi di odio (il c.d. hate speech online).
Senza andare molto lontano, anche nel nostro paese, negli ultimi anni si è registrato, secondo quanto rilevato anche dall’UNAR (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali), un incremento di reati contro colui che è diverso per etnia, razza, religione, nazionalità.
Sentiamo tutti giorni parlare di stereotipi dannosi, tra i quali quelli genere, la xenofobia, l’omofobia, che minano le relazioni sane e che generano sfiducia e mancanza di rispetto. Se ci soffermiamo a pensare quello della discriminazione è un problema che rischia di toccare ognuno di noi da vicino, chi più chi meno, in ambito lavorativo, scolastico, e a volte purtroppo anche in quell’ambiente che dovrebbe essere il più sicuro di tutti, ovvero quello familiare.
Riconoscere la discriminazione
E’ fondamentale l’impegno di ognuno di noi, nella nostra quotidianità, a combattere la discriminazione.
L’odio non è mai neutro: dobbiamo prenderci la responsabilità anche del “non agire” dinanzi ad episodi di intolleranza.
La discriminazione viene definita come un comportamento – diretto o indiretto – che causa un trattamento non paritario di una persona o di un gruppo di persone, in virtù della loro appartenenza ad una determinata categoria.
Si ha una “discriminazione diretta” quando qualcuno agisce per mettere una persona o un gruppo di persone in una situazione o in una posizione di svantaggio. A volte ci possiamo trovare di fronte ad una “discriminazione indiretta” quando una norma, un regolamento, una prassi, un criterio o un parametro apparentemente neutri mettono – di fatto – in una situazione di svantaggio una persona o una categoria di persone.
Non si può lasciare che ciò si consumi nel silenzio
L’ordinamento civile mette a disposizione della vittima un’azione civile contro la discriminazione, quella di cui all’art. 28 d.lgs. 150/11, con le relative agevolazioni processuali rispetto all’ordinario rito civile.
Qualora la molestia sia rivolta all’insieme delle categorie protette (ovvero a gruppi individuati per appartenenza a una determinato gruppo etnico, a una nazionalità o a una religione) senza che possa essere identificato direttamente o immediatamente il soggetto leso, la normativa prevede la legittimazione attiva di enti e associazioni con la conseguente possibilità che siano proprio le associazioni ad agire in giudizio a tutela dei singoli.
Vi sono, poi, enti, istituzioni e associazioni che ogni giorno si adoperano per dare vita ad una rete di lavoro comune e condiviso contro le discriminazioni.
Anche la nostra associazione, la Chioma di Berenice, ha tra i suoi obiettivi quello di sensibilizzare le persone a questa problematica, con particolare riferimento all’ambiente del carcere, che spesso viene ignorato e trattato come una realtà da tenere ai margini della società.
Come cittadini, è nostro compito costruire in prima persona, con le nostre capacità, ambienti inclusivi e solidali, che sono necessari per il benessere di tutti.
Ognuno di noi, nell’ambito in cui vive la propria quotidianità, è chiamato a proteggere colui che gli è vicino e che è più vulnerabile, e a diffondere la cultura della tolleranza, del rispetto e dell’integrazione.
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